ASMARA E OLTRE, istruzioni per sorprendersi (5/23)

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di Maria Antonella Pratali

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Quinta puntata.
L’Ufficio Postale, progettato nel 1916 dall’Ing. Odoardo Cavagnari, è un gioiello ben tenuto, con caselle postali d’epoca e mobilio che profuma di legno antico. Non resisto: compro una cartolina di Asmara, metto il francobollo e la affido al destino. Arriverà? (Scoprirò in seguito che è arrivata dopo un paio di mesi). L’Ufficio Postale è uno dei tanti edifici costruiti dagli italiani negli anni Trenta, che hanno valso ad Asmara, nel 2017, il riconoscimento Unesco di Patrimonio dell’Umanità, per l’eccezionale conservazione del suo tessuto urbano modernista. In effetti, l’Eritrea è l’unico Paese africano che ha deciso di rinunciare ai grattacieli, nell’intento di conservare la propria identità e unicità.
Corriamo poi a prenotare un Land Cruiser con autista per il sito archeologico di Qohaito, gita del giorno dopo. E già che ci siamo, noleggiamo una Toyota Corolla dall’aria vetusta, ma col cuore ancora pulsante: motore e freni a posto, gomme quasi nuove, aria condizionata operativa. Tanto ci basta per immaginarla già lanciata verso Mendeferé e Massaua nei prossimi giorni. Per premiarci, tappa d’obbligo al bar Zilli: liberty puro, “macchiato” per uno, caffè americano per un altro, acqua frizzante per il terzo, e un cannolo gigante per il più goloso dei tre, che, per ragioni di reputazione, non dirò chi è.
Di lì a poco, spesa di sopravvivenza da Barka, dove scaffali italiani e prodotti locali convivono in armonia. Torniamo a casa di G. per pranzare. Nel giardino regna un albero di casimiroa carico di frutti dolcissimi; tra le foglie fitte di una palma, un nido di cicogne e, poco più in basso, un uccello tessitore che intreccia il suo capolavoro a colpi di becco. Facciamo una passeggiata fino al Centro culturale dei Pavoniani, con la sua biblioteca ricca e silenziosa, aperta a studenti, studiosi e curiosi. Ci perdiamo tra scaffali pieni di volumi in varie lingue, e tra quelli italiani troviamo perfino rare pubblicazioni degli anni Trenta. 
Non lontano, l’Hotel Expo offre un’altra risorsa preziosa: un punto dove installare VPN e comprare pacchetti internet per Android. La connessione è lenta, ma sufficiente a mandare un “tutto bene” via mail o WhatsApp. Il mio cellulare, non essendo Android, resta tagliato fuori, trasformandosi così in pura macchina fotografica. E scopro che non mi manca affatto il resto: anzi, la libertà digitale è un lusso inaspettato.

9 maggio – Terzo giorno – Destinazione Qohaito.
La sveglia suona a quell’ora in cui il cervello protesta e il corpo ti chiede se sei matta. Alle 6:00 Daniel, il nostro autista, ci aspetta puntuale, per portarci a 2900 m. di quota, al sito archeologico di Qohaito. La strada, appena fuori Asmara, è un poema di buche e rattoppi, dove bisogna guidare come se ogni metro nascondesse una trappola. Gli amanti della cinetosi possono già iniziare a pregare o armarsi di cerotti per il mal d’auto.  Frequenti i posti di blocco, che sembrano più proforma che presidio: niente sbarre; solo corde tese, segnalate da qualche pezzo di stoffa che svolazza; e giovani soldati, che ci osservano più per curiosità che per controllo, con sorrisi e saluti che sdrammatizzano il tutto, se mai ce ne fosse bisogno. Niente fucili (probabilmente sono nella garitta), niente verifiche ossessive. Capita che ci facciano passare senza neppure fermarci.
Prima tappa a Dekameré, cittadina con una via principale asfaltata su cui affacciano negozi più o meno assortiti. Daniel si ferma per duplicare un documento: in Eritrea la fotocopia è il vero simbolo della burocrazia, strumento che sopravvive al tempo. 

(Continua. Nella prossima puntata: la Valle dei Sicomori, sulla strada per Adi Key e il sito archeologico di Qohaito)

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