CONSIGLI DI CINEMA. “ELISA”, un’indagine psicologica e morale per guardare in faccia il male

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Una strada tortuosa, il silenzio che avvolge il bosco, una recinzione che impedisce di andare oltre, interni dai toni claustrofobici. Non sono elementi di sfondo sul quale proiettare la storia, sono lo specchio di uno stato d’animo, di un animo tormentato che si ė rinchiuso nel suo silenzio, lo stato d’animo di Elisa. 
La protagonista del film Elisa di Leonardo Di Costanzo, presentato alla 82^ Mostra del cinema di Venezia e dal 5 settembre distribuito nelle sale italiane, ha il volto di Barbara Ronchi, qui in una delle sue migliori prove attoriali. La cinepresa la segue nei movimenti, nei gesti del quotidiano, indugia sul suo viso che comunica distacco, indifferenza e poi via via dubbio, smarrimento, rabbia, sofferenza. È una detenuta in un carcere modello della Svizzera francese, un mondo chiuso e protetto in cui ha trovato un suo equilibrio. I ricordi cominciano ad affiorare in seguito agli incontri con un criminologo e la consapevolezza di ciò che è accaduto la pone di fronte alla necessità di farsi carico delle proprie responsabilità.
«Con questo film ho voluto guardare in faccia il male, per conoscerlo e capire se è possibile il recupero del colpevole, senza che ciò presupponga il perdono, la cancellazione della colpa  – afferma il regista – e soprattutto senza dimenticare ciò che ha compiuto». 
Una prospettiva insolita, complessa. Il processo di immedesimazione che ci spinge a empatizzare con il protagonista di una storia rimane qui frenato dal giudizio etico che interviene nel valutare ciò che è accaduto. Non siamo in una situazione di marginalità sociale, è il senso di inadeguatezza della protagonista, il voler essere accettata dagli altri ad averla spinta a compiere i gesti più tragici. 
Il regista si è ispirato ad un fatto vero per creare una sua storia e farla diventare un’indagine psicologica mettendo al centro Elisa, una omicida.  Il personaggio interpretato da Valeria Golino, in un cameo che avrebbe meritato un maggior approfondimento, dà invece voce alle vittime per non farci dimenticare lo strascico di dolore provocato da un atto criminale. Il confronto ci ricorda come sia difficile venire a patti con il male e ancor più difficile dare un senso al dopo, alla vita che prosegue senza esser più la stessa, per i colpevoli e per le vittime.
Alcune critiche mosse al film parlano di eccessiva lentezza, d’incapacità di emozionare, ma è una scelta di regia quella di evitare la semplice spettacolarizzazione di un fatto di cronaca. L’intento del regista Di Costanzo è scavare nell’interiorità del personaggio, interrogare lo spettatore sospendendo il giudizio per mettere tutti noi nella scomoda posizione di dover fare i conti con noi stessi, decidere quale posizione assumere di fronte a chi commette il male. Fino a che punto condannare, fino a che punto comprendere e dare una possibilità di riabilitazione?
È un film che pretende attenzione e che la merita, è un’opera che rappresenta il buon cinema italiano. 

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