CONSIGLI DI CINEMA. “L’ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI BAMBINI”: l’esordio alla regia di Claudio Bisio

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Che cosa vuol dire essere bambini? Che cosa voleva dire esserlo nella Roma fascista del lontano ottobre 1943?  

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Nel suo film di esordio “L’ultima volta che siamo stati bambini”, Claudio Bisio racconta la storia di quattro ragazzini che stringono un patto d’amicizia per restare sempre uniti. Sono Italo, figlio di un gerarca fascista, Cosimo, figlio di un antifascista in esilio, Riccardo, di origine ebrea e Vanda, orfana in un istituto di suore. Il loro è un mondo semplice, innocente, dove l’amicizia assume un valore particolare perché serve a colmare il vuoto di altri affetti. La tragedia è intorno a loro, nelle case bombardate, nella fame mai sazia, nell’appartamento abbandonato in fretta dalla famiglia di Riccardo, nella fila di persone con la stella gialla, ma i loro occhi di bambini non sanno dare il giusto peso al dramma che si consuma intorno, ciò che conta di più nelle loro vite sono ancora la mancanza di una madre, la nostalgia per un padre lontano, il timore di non essere amati abbastanza.

L’occhio con cui Claudio Bisio ci invita a seguire gli avvenimenti di quel lontano mese di ottobre è quello dei quattro piccoli protagonisti che nella loro ingenuità guardano il mondo attraverso il filtro degli insegnamenti ricevuti. È un mondo che non capiscono e cercano di interpretarlo scimiottando i grandi, trovando facili soluzioni ai problemi che si trovano ad affrontare. L’amico Riccardo è stato portato via in treno? Basta avviarsi a piedi e seguire il binario per andarlo a salvare. La Germania è lontana? Ma no, poco poco. Come si fa a liberare Riccardo una volta arrivati a destinazione? Facile, spieghiamo che non ha colpe, che non ha fatto niente.

Nel disegnare il piccolo universo dei quattro amici, nel coglierne le ingenuità, nel riproporne le spavalde certezze e le fragilità, Claudio Bisio sa ben destreggiarsi e riesce infine a offrirci un film tenero e godibile a cui si possono perdonare alcuni lati meno riusciti. 

È una commedia che si muove mantenendo per tutta la durata un fragile equilibrio fra la leggerezza della narrazione e la rappresentazione del dramma che fa da sfondo alla storia. Le occasioni per perderlo, questo equilibrio precario, non sono poche, sono dietro l’angolo ogni volta che con bonaria ironia il regista sceglie di ritrarre i militi fascisti con tratti grotteschi che li trasformano in macchiette, ogni volta che il procedere degli eventi risulta poco credibile, ma se si intende il racconto come una sorta di fiaba le ingenuità della regia diventano allora accettabili, perché le fiabe non hanno bisogno di rispecchiare fedelmente la realtà, il loro compito è stimolare l’immaginazione, guidare verso una certa direzione, darci uno spunto per riflettere. 

L’ultima volta che siano stati bambini” è un film che ci fa rivivere una stagione lontana della nostra vita in cui abbiamo sperimentato il senso profondo dell’amicizia infantile, un film che mette in primo piano il dramma di chi quell’esperienza l’ha vissuta in un contesto di violenza e di guerra.

Così alla domanda “che cosa voleva dire essere bambini nell’ottobre 1943?”,  non si può che rispondere con la frase che chiude il film: “Tra le 2091 persone di religione ebraica deportate a Roma c’erano 281 bambini. Nessuno di loro è tornato”. 

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