di Matteo Rigamonti

Ignavi, anime che in vita non hanno mai preso una posizione chiara, né per il bene né per il male. Nel Canto III dell’Inferno, Dante Alighieri ci presenta questi spiriti, definiti dal Sommo Poeta come coloro che “visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”. Condannati a un destino grottesco: costretti a inseguire un’insegna vuota e tormentati da vespe e mosconi.
Una punizione che simboleggia perfettamente la vacuità delle loro vite terrene, vissute senza il coraggio di scegliere. Questa visione dura e intransigente dell’indifferenza politica e morale non è solo un monito medievale, ma un tema ancora estremamente attuale.
L’ignavia, ovvero l’incapacità o la mancata volontà di prendere posizione, è un fenomeno che attraversa la storia fino ai giorni nostri. Se volgiamo lo sguardo al passato e al presente, troviamo numerosi esempi di situazioni in cui l’indecisione ha prodotto conseguenze drammatiche. Pensiamo a contesti in cui la mancata prontezza nell’azione di fronte a emergenze sanitarie ha determinato crisi globali, causando perdite umane ed economiche evitabili.
Anche nelle questioni interne, l’incapacità di affrontare con determinazione problemi strutturali ha portato all’aggravarsi di emergenze, come il dissesto idrogeologico, con conseguenze devastanti per intere comunità, o al continuo rimandare riforme fondamentali per il funzionamento delle istituzioni, che ha impedito un reale cambiamento e lasciando il paese in una condizione di instabilità politica e inefficienza governativa.
Ancora una volta, la lezione dantesca appare evidente: non scegliere, non agire, significa condannarsi a una sorta di impotenza morale e politica.
Ma l’ignavia non si manifesta solo nei grandi scenari della politica internazionale. Anche tra politici a noi più vicini, il mancato coraggio decisionale è un problema diffuso. Troppo spesso si assiste a progetti bloccati, scelte rinviate, interventi necessari mai realizzati a causa della paura di scontentare una parte della cittadinanza. Questo atteggiamento porta a una perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni e alimenta il senso di disillusione dei cittadini, che vedono nell’immobilismo politico una mancanza di responsabilità.
La politica, sia a livello nazionale che locale, richiede invece il coraggio di prendere decisioni, anche impopolari, quando queste sono necessarie per il bene comune. Un amministratore che evita di prendere posizione per paura di perdere consenso tradisce il proprio mandato e priva la comunità di una guida solida. L’ignavia politica, in questo senso, non è solo un difetto caratteriale, ma una vera e propria piaga per il buon governo.
Dante, nella sua esperienza politica, ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze dell’ignavia altrui. Eletto priore di Firenze nel 1300, si trovò coinvolto nelle lotte tra guelfi bianchi e guelfi neri. Quando questi ultimi presero il potere, molti tra i suoi stessi alleati preferirono non esporsi per difenderlo, contribuendo al suo esilio e alla fine della sua carriera politica. L’ignavia non è mai neutrale: chi sceglie di non scegliere, in realtà, sceglie di abbandonare chi avrebbe bisogno di sostegno, anteponendo l’interesse personale a quello comune. E lo stesso meccanismo si ripete ancora oggi: la mancanza di decisione non è mai una posizione neutra, ma una forma di irresponsabilità. Nella gestione amministrativa, evitare di affrontare problemi reali per timore di perdere voti significa tradire la fiducia dei cittadini. Peggio ancora, un atteggiamento ignavo porta a una sorta di paralisi politica che impedisce qualsiasi miglioramento concreto.
Non dobbiamo lasciare indietro chi ha il coraggio di prendere posizione, né temere chi agisce per il bene comune. L’atteggiamento ignavo, che porta a escludere figure capaci e determinate, rischia di privarci di quelle persone che possono davvero fare la differenza. Come ci insegna Dante e la sua storia, diventa un imperativo sostenere chi ha il coraggio di agire per un futuro migliore, perché è solo nella scelta che si costruisce il domani, evitando che l’indifferenza e l’opacità prendano il sopravvento.