di Alessio Tomasin
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Le lotte dei fittavoli di Anguillara Veneta contro l’Arca del Santo, che si protrassero per tutti gli
anni ’70, possono essere interpretate come uno dei sintomi di quelle crisi (politica, economica,
sociale) che si abbatterono sull’Italia in quel periodo.
All’inizio degli anni ’70, la situazione di Anguillara Veneta appariva critica sotto molti punti di vista.
Dal punto di vista economico e occupazionale, la maggior parte degli abitanti di Anguillara erano
lavoratori dipendenti. Moltissimi si recavano quotidianamente nelle fabbriche padovane a lavorare
come operai; grande importanza rivestivano anche le grandi campagne agricole, specialmente in
Emilia e nelle risaie del veronese; rilevante era la porzione di lavoratori impegnati nell’edilizia.
Inoltre, quasi ogni famiglia aveva in affitto dall’Arca del Santo un piccolo pezzo di terra da coltivare
nel tempo libero. L’eccessiva frammentazione della terra ne impediva uno sfruttamento
economicamente sostenibile e le affittanze erano considerate dalla popolazione come una specie di
paracadute a salvaguardia dell’economia familiare.
Molto critiche erano anche le condizioni abitative in cui versava la popolazione anguillarese. Quasi
la totalità degli abitanti viveva in edifici fatiscenti di proprietà dell’Arca. All’inizio degli anni ’70,
l’80% delle case non disponeva di servizi igienici; molte abitazioni erano, inoltre, prive di acqua
corrente e di elettricità.
L’Arca del Santo, attraverso il meccanismo delle affittanze, era in grado di controllare completamente
il paese, sia dal punto di vista economico, ma anche, indirettamente, dal punto di vista sociale. Allo
stesso tempo, le affittanze rappresentavano per i fittavoli, per coloro che non possedevano null’altro
a parte la propria forza-lavoro, il modo più semplice per avere un tetto sotto cui stare e l’opportunità
di coltivare un po’ di terra per integrare il proprio basso reddito.
Questa situazione si deteriorò ulteriormente quando, nell’autunno del 1970, iniziarono a circolare le
prime voci riguardanti la vendita dei terreni di Anguillara. Queste notizie diffusero in paese un
sentimento di esasperazione misto a rabbia e preoccupazione. La vendita, infatti, avrebbe significato
nel migliore dei casi avere un nuovo proprietario a cui versare l’affitto, nel peggiore ritrovarsi in
mezzo alla strada perché non si avrebbe più avuta una casa a disposizione.
Subito presero avvio le prime iniziative di lotta, connotate da elevata radicalità e un approccio
dilettantistico. Al termine di questa prima fase fallimentare, i nuovi proprietari presero possesso dei
terreni e iniziarono un’attività speculativa che contribuì a far aumentare ulteriormente la tensione.
La seconda fase di lotta prese la forma di una duplice strategia: sul piano locale, cercando di
riprendere le trattative con l’Arca per trovare una soluzione alla vicenda; sul piano parlamentare,
affinché si trovasse una soluzione legale al problema dei fittavoli di Anguillara imperniata sul diritto
di prelazione.
Per tutto il 1975, e fino all’inizio del 1976, le lotte dei fittavoli passarono in secondo piano: il comune
rimase in stallo a seguito dell’esito delle elezioni amministrative del 1975 terminate in parità. Nel
frattempo, il nuovo collegio di presidenza dell’Arca sembrava più incline a trovare una soluzione che
favorisse i fittavoli.
Il 16 ottobre 1976, grazie all’intermediazione dell’Ente Tre Venezie, fu stipulato l’accordo finale tra
i fittavoli e i proprietari lombardi. Secondo questo accordo, i terreni sarebbero stati venduti a un
prezzo compreso tra 1,2 e 1,3 milioni di lire al campo padovano (fino a 1,6 milioni per i fittavoli non
coltivatori).
Giungeva, così, a conclusione una vicenda protrattasi per quasi un decennio. Anguillara Veneta,
finalmente libera dal dominio dell’Arca del Santo, poteva intraprendere quegli interventi che
l’avrebbero resa un comune moderno, con infrastrutture e servizi migliori