di Marta Brentan
L’Università degli Studi di Milano ha disposto
l’invalidazione di tre esami sostenuti da remoto da una studentessa
israeliana iscritta alla Facoltà di Medicina e richiamata nel proprio Paese
per obblighi militari. Gli esami, sostenuti in videoconferenza mentre la
studentessa si trovava a Tel Aviv, sono stati dichiarati non conformi alla
normativa vigente, in quanto le deroghe previste dal Ministero dell’Università e
della Ricerca (MUR) non contemplano casi di guerra o mobilitazione bellica
come giustificativo per la validità degli esami a distanza.
Una studentessa israeliana iscritta alla facoltà di Medicina dell’Università
Statale di Milano, richiamata in patria per motivi militari, ha usufruito di una
deroga per seguire lezioni e svolgere attività pratiche all’ospedale Sheba
Medical Center di Ramat Gan. Tuttavia, gli esami svolti da remoto non sono
stati riconosciuti dall’Ateneo: tre prove sostenute in videoconferenza da Tel
Aviv sono state dichiarate nulle perché, secondo la normativa italiana,
permangono solo le eccezioni legate alla pandemia, e quella bellica non
consente valutazioni a distanza.
Il contesto: formazione a distanza in tempo di guerra
La studentessa, in quanto riservista richiamata dalle forze israeliane in seguito
agli eventi bellici nella Striscia di Gaza, aveva ottenuto l’autorizzazione a
proseguire le attività didattiche e pratiche presso lo Sheba Medical Center di
Ramat Gan, uno degli ospedali civili più avanzati del Medio Oriente, con cui
esiste una collaborazione non formale a livello accademico.
Le lezioni online e parte del tirocinio sono stati considerati regolari, in linea
con quanto previsto dalla circolare ministeriale dell’11 novembre 2023, che
in via straordinaria consente la didattica a distanza agli studenti italiani e
stranieri impossibilitati a rientrare nel Paese a causa di conflitti armati o
instabilità internazionale. Tuttavia, la normativa non estende tale deroga agli
esami, se non in presenza di circostanze pandemiche certificate.

La decisione dell’Ateneo
Un controllo interno effettuato nell’ambito delle procedure di verifica per
l’ammissione alla laurea ha fatto emergere che tre docenti avevano consentito
la verbalizzazione di esami a distanza, ritenendo erroneamente che la deroga
ministeriale fosse applicabile anche alle prove di profitto. L’Ateneo ha
riconosciuto un errore di interpretazione della norma e ha agito in autotutela
annullando i tre esami incriminati.
La direzione didattica ha comunicato formalmente l’irregolarità alla
studentessa, che potrà recuperare gli esami in presenza entro tempi utili per
non compromettere il conseguimento del titolo. L’Università ha inoltre espresso
la volontà di fornire ogni supporto logistico e didattico, tenuto conto della
complessità della vicenda e della condotta collaborativa dell’interessata.
Aspetti giuridici: autotutela legittima, ma il caso solleva
interrogativi
L’invalidazione degli esami è stata formalizzata come annullamento d’ufficio
per errore materiale e violazione normativa, ai sensi dell’art. 21-nonies della
legge 241/1990. In questo caso l’Università è intervenuta prima del
conseguimento della laurea, e ha fondato il provvedimento su evidenze
normative univoche.
La circolare MUR, infatti, pur prevedendo forme di flessibilità didattica per i
Paesi in guerra, non consente espressamente lo svolgimento di esami a
distanza, a meno che non sia in vigore un provvedimento emergenziale
generale come accaduto durante il periodo pandemico.
Tuttavia, il caso apre un dibattito di diritto accademico e pubblico su tre
fronti:
- L’equità nell’accesso al diritto allo studio per studenti costretti ad
allontanarsi per cause di forza maggiore non direttamente imputabili alla
loro volontà. - La rigidità delle norme sugli esami a distanza, che non contemplano, al
momento, deroghe specifiche per contesti di conflitto. - Il ruolo degli Atenei nell’interpretazione delle norme ministeriali, che
spesso si trovano a dover conciliare il rispetto formale delle regole con la
tutela concreta dei diritti degli studenti.
Le reazioni: accuse di favoritismo e difesa della neutralità
accademica
La vicenda ha generato polemiche all’interno dell’ambiente universitario
milanese. Alcuni collettivi studenteschi hanno denunciato la deroga concessa
come una forma di “tacito sostegno a un esercito coinvolto in un conflitto
controverso”, sollevando interrogativi sulla presunta neutralità dell’Università.
Altri hanno invece difeso la scelta dell’Ateneo di offrire continuità formativa
alla studentessa in condizioni straordinarie, purché nel rispetto delle norme.
L’Università Statale di Milano ha precisato di non aver mai autorizzato
deroghe per finalità diverse da quelle didattiche e ha ribadito la propria
aderenza alle direttive ministeriali, intervenendo tempestivamente non appena
emersa l’irregolarità.
Un precedente pericoloso o una lezione amministrativa?
La decisione della Statale di Milano si inserisce in un vuoto regolamentare che
rischia di lasciare gli Atenei esposti a responsabilità formali e critiche informali.
In assenza di norme chiare per situazioni di emergenza non pandemica,
ogni deroga assume il peso di una scelta discrezionale con rilevanti
conseguenze giuridiche, accademiche e politiche.
Il caso della studentessa israeliana non solo richiama l’attenzione sulla necessità
di una revisione normativa sulle mobilità in tempo di guerra, ma costituisce
anche un monito sulla fragilità del diritto allo studio quando entra in rotta
di collisione con la geopolitica.