ASMARANE OLTRE, istruzioni per sorprendersi (2/23)

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Tempo di lettura:3 Minuti

di Maria Antonella Pratali

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Seconda puntata.
(Ultimi minuti prima dell’imbarco per Asmara)

Intanto S., il mio compagno di viaggio, è convinto di essere connesso al Wi-Fi dell’aeroporto. Continua a scorrere chat e a inviare foto, finché un messaggio del suo operatore non lo gela: ha superato i 50 Euro di traffico extra. Lo vedo sbiancare, poi esplodere nel primo rosario del viaggio, mentre disattiva il roaming con la costernazione di un ligure toccato nel vivo del portafogli.
Finalmente l’imbarco.
L’aereo sorvola il Cairo, una distesa infinita di luci offuscate da smog e mistero, e dopo tre ore scivola nel buio compatto di Asmara. Sono le 3.30, ora locale, del 7 maggio. Gli occhi sono stanchi, la schiena si lamenta, ma il nostro entusiasmo combatte eroicamente contro gli strapazzi (siamo in giro dalle 9.00 del mattino precedente).
Il passaggio dal faraonico aeroporto del Cairo a quello di Asmara è come scendere da una Limousine per salire su un’Ape Piaggio: piccolo, vissuto, ma con un fascino tutto suo. Allo sportello dei visti, un impiegato ci squadra con aria burbera; poi, senza preavviso, sgretola la maschera con un sorriso e un “benvenuta” in italiano. Mi sorprende come una carezza gentile e inaspettata. Dalla vetrata vediamo, al piano terra, due addetti distesi come gatti sonnacchiosi sul nastro fermo dei bagagli. Ma non appena il nastro si mette in movimento, saltano su come grilli ad aiutare i proprietari delle valigie, con afferrate sicure e larghi sorrisi.
G., il nostro amico italo-eritreo, ci aspetta in città e ci ha già istruiti sulle prime cose da fare: cambio valuta in aeroporto, istituzione della cassa comune e 300 Nakfa (circa 17 Euro) pronti per la corsa in taxi fino all’hotel in centro; prezzo fisso, nessun rischio di raggiro o contrattazioni esotiche. Che piacere. 
Il giovane autista carica i bagagli in auto e ci conduce per strade immerse in un black-out che sembra voluto per esaltare il silenzio della notte. La musica eritrea, soffusa nell’abitacolo, diventa la colonna sonora del nostro primo incontro con Asmara. Alle 4.30 arriviamo in albergo, la receptionist che ci accoglie sorride con la faccia di chi non ha ancora deciso se svegliarsi del tutto. Ci consegna le chiavi, un anziano usciere, col cappello di sghimbescio e l’uniforme abbottonata male, mi aiuta a portare su la valigia.
L’appuntamento è verso mezzogiorno, io, S. e G., il nostro Virgilio in Eritrea.

7 maggio – Primo giorno in Eritrea.
Due ore di sonno appena, di meglio non sono riuscita a fare. E allora giù dal letto, colazione rapida e fuori, nella luce nuova. Perché il mondo va esplorato anche con le occhiaie.
Il sole sorge ad Asmara con una calma quasi teatrale. Qualche bicicletta sfreccia nel silenzio del mattino, mentre l’aroma del caffè tostato e cardamomo si diffonde tra le vie. Una donna incrocia il mio sguardo, mi sorride. 
«Talian?».
 «Sì», ricambio il sorriso. Sono così riconoscibile? 
Alcune donne munite di ramazze, palette e carriole spazzano le strade. Indossano abiti lunghi fino ai piedi, un velo bianco a proteggere i capelli. Dialogano tra loro, intuisco dai gesti che si scambiano indicazioni su come distribuirsi il lavoro.  
È il mio primo giorno in Eritrea, e già qualcosa sfugge alle definizioni. Non è solo un viaggio in un paese misterioso: è un lento attraversamento di paesaggi, volti, parole e gesti che, intuisco, raccontano molto più della loro superficie. Ne ho subito l’impressione di un mondo povero ma caldo, antico, dove ogni dettaglio (uno sguardo, una croce copta, un minareto) apre una finestra su una storia lunga e mai finita. Già so che questo è uno di quei posti che ti si piantano dentro e non ti lasceranno più.

La temperatura è gradevolissima. Siamo sull’altopiano, a oltre 2300 m. di altitudine, il sole non va per il sottile, ma viene addolcito da una brezza leggera.

(La 3^ puntata continuerà con le impressioni su Asmara, 7-8 maggio)

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